Immersi nel fumo del terzo girone, Dante e Virgilio sentono, pur senza vederle, le anime intonare l’Agnus Dei. E da Virgilio apprendiamo che esse espiano in quel luogo la colpa dell’iracondia. Una di loro, a un tratto, apostrofa Dante: si tratta di Marco Lombardo, noto uomo di corte del Duecento, integerrimo e disprezzatore delle ricchezze, cui il poeta si rivolge per un dubbio che lo tormenta: se la causa della corruzione sia da attribuire agli influssi celesti oppure all’uomo. Dall’anima viene allora esposta la teoria del libero arbitrio, cui è complementare l’enunciato secondo il quale l’anima, uscita ignara di ogni cosa dalla mani di Dio, comincia a poco a poco a rivolgere la sua attenzione ai beni materiali per passare poi, se correttamente indirizzata, a riconoscere in Dio il bene supremo. A svolgere quella funzione di guida sarebbero preposti il papa e l’imperatore; ma ciò non accade per il semplice fatto che il primo ha voluto assumere su di sé il potere temporale proprio del secondo, provocando smarrimento e perdizione. Seguono a questo punto il lamento sul degrado che affligge l’Italia settentrionale e la lode degli unici tre uomini moralmente irreprensibili. Di uno di essi Dante chiede a Marco ulteriori spiegazioni perché non ha capito chi esso sia: ma lo spirito, fraintendendo e quindi indignandosi, interrompe il dialogo e torna sui proprio passi.
Fonti: italica.rai.it