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Parafrasi – Canto 24° – Inferno – Divina Commedia

In quel periodo dell’ anno nato da poco in cui il sole rende più caldi i suoi raggi trovandosi nella costellazione dell’Acquario e già le notti si avviano a durare dodici ore, quando la brina riproduce sulla terra l’aspetto della neve, ma la sua penna (con la quale ritrae l’immagine della neve) si spunta rapidamente, il povero contadino al quale mancano le provviste, si alza, e guarda, e vede tutta la campagna imbiancata, per cui si percuote il fianco, rientra in casa, e andando di qua e di là si lamenta, come il misero che non sa cosa fare: poi torna fuori, e riprende la speranza, vedendo che il mondo ha mutato in poco tempo aspetto, e prende il suo bastone, e spinge fuori le pecorelle al pascolo. Nello stesso modo Virgilio mi fece sbigottire quando lo vidi con aspetto così turbato, ed altrettanto rapidamente giunse la medicina al mio spavento, poiché, non appena giungemmo al ponte franato, la mia guida si rivolse a me con quell’atteggiamento affettuoso che io avevo precedentemente veduto ai piedi del colle (canto I, versi 13 e 77). Aprì le braccia, dopo aver preso dentro di sé una decisione e aver osservato prima attentamente la frana, e mi afferrò. E come colui che agisce e valuta, il quale dà sempre l’impressione di pensare prima di agire, in tal modo, mentre mi sollevava verso la sommità di un masso sporgente, cercava con lo sguardo un’altra sporgenza dicendo: ” Afferrati poi a quella; ma accertati prima se è abbastanza salda da reggerti “. Quella non era una strada che gli ipocriti, vestiti delle loro pesanti cappe, avrebbero potuto percorrere, poiché a stento noi, egli leggero (perché puro spirito) e io spinto da lui, potevamo salire di appiglio in appiglio; e se non fosse stato per il fatto che su quell’argine più che sull’altro il pendio era breve, non so cosa sarebbe accaduto a Virgilio, ma io senz’altro sarei stato sopraffatto (dalla stanchezza). Ma poiché Malebolge è tutta quanta inclinata verso l’apertura della voragine più bassa (che porta al nono cerchio), la posizione di ogni bolgia comporta che un argine (quello esterno) si eleva maggiormente e l’altro (quello interno) è invece più basso: noi infine giungemmo sulla sommità dalla quale l’ultimo masso (del ponte franato) sporge in fuori. Il fiato a tal punto mi era stato spremuto fuori dai polmoni nel momento in cui raggiunsi la cima, che non potevo più andare avanti, anzi mi sedetti appena arrivato. “Ormai è necessario che tu con fatiche di questo genere ti tolga di dosso la pigrizia” disse Virgilio; ” poiché, adagiandosi sui cuscini, o sotto le coperte, non si raggiunge la fama; chi termina la sua vita senza questa, lascia di sé sulla terra una traccia simile a quelle che lasciano il fumo nell’aria e la schiuma nell’acqua. E perciò alzati: vinci l’affanno con la volontà che trionfa di qualsiasi difficoltà, se non si abbatte con il corpo pesante cui è legata. Occorre salire una scala più lunga (dal centro della terra alla vetta dei purgatorio); non è sufficiente che tu ti sia allontanato da questi dannati: se mi capisci, ora fa in modo che la mia esortazione ti sia d’ aiuto.” Allora mi alzai, mostrandomi provvisto di forze più di quanto io stesso me ne sentissi, e dissi: ” Procedi, poiché sono forte e coraggioso “. Ci incamminammo sul ponte (che varca la settima bolgia), il quale era irto di sporgenze, angusto e difficile da percorrere ed assai più ripido di quello precedente. Procedevo parlando per non apparire stanco; per cui dall’altra bolgia usci una voce, incapace di articolare parole. Non so che cosa disse, sebbene mi trovassi già sulla sommità del ponte che qui fa da valico: ma colui che parlava pareva spinto a camminare. Io ero rivolto verso il basso, ma il mio sguardo, per quanto penetrante, non poteva arrivare fino al fondo (della bolgia) a causa dell’oscurità; perciò dissi: ” Maestro, fa in modo di arrivare all’altro argine e scendiamo giù da questo ponte; poiché, come di qui odo senza comprendere, così vedo quello che c’è nel fondo senza distinguere nulla “. ” Non ti do altra risposta se non il fare (ciò che tu chiedi) ” disse; “poiché occorre soddisfare la richiesta giusta con i fatti, senza parlare. ” Discendemmo per il ponte da quella estremità in cui esso si congiunge con l’argine ottavo, e poi la bolgia mi divenne visibile: e in essa vidi uno spaventoso ammasso di serpenti, e di così strano genere, che il ricordarmene mi guasta ancora il sangue. Più non si vanti la Libia con i suoi deserti, poiché se genera chelidri, iaculi e faree, e cencri con anfisibene, mai mise in mostra tanti animali velenosi né così nocivi insieme con tutta l’Etiopia, e con la terra (l’Arabia) che è delimitata dal Mar Rosso. In mezzo a questa feroce e terribile moltitudine correvano schiere nude e atterrite, senza speranza di trovare riparo o elitropia (pietra che si credeva guarisse dal morso dei serpenti e rendesse invisibili): avevano le mani avvinte dietro la schiena con serpenti; questi spingevano la coda e la testa lungo i loro fianchi, e si attorcigliavano sul loro davanti. Ed ecco che contro uno che si trovava dalla parte del nostro argine, si scagliò un serpente che lo trafisse nel punto in cui il collo si congiunge alle spalle. Non si scrisse mai tanto rapidamente né ” o ” né ” i “, come quello prese fuoco e bruciò, e dovette, cadendo, diventare tutto quanto cenere; e dopo che fu così annientato a terra, la cenere si radunò insieme per virtù propria, e si trasformò di colpo nello stesso dannato di prima: allo stesso modo i grandi sapienti affermano che la fenice muore e in un secondo tempo rinasce, allorché si avvicina al suo cinquecentesimo anno: mentre è in vita non si ciba né di erbe né di biada, ma solo di stille d’incenso e di amomo (resina aromatica), e morendo si avvolge nel nardo e nella mirra. E quale è colui (l’epilettico) che cade, e non ne conosce il perché, a causa di un assalto di demoni che lo fa precipitare a terra, o di un altro impedimento che lo paralizza, il quale, quando si rialza, si guarda attorno del tutto disorientato a causa del grande dolore che ha sofferto, e mentre guarda sospira, tale era il peccatore quando si rialzò. Oh quanto è severa la potenza di Dio, la quale per punizione scaglia tali colpi! Virgilio gli chiese poi chi fosse; onde egli rispose: ” Io precipitai dalla Toscana, poco tempo fa, in questa bolgia crudele. Trovai di mio gradimento una vita da bestia, non da uomo, degna del bastardo che fui; sono Vanni Fucci, la bestia, e Pistoia fu il mio degno covo “. E io a Virgilio: ” Digli di non sgusciar via, e chiedigli quale peccato lo spinse quaggiù; poiché io lo conobbi come uomo sanguinario e rissoso “. E il peccatore, che capì, non esitò, ma rivolse verso di me l’animo e lo sguardo, e arrossì di malvagia vergogna; poi disse: ” Provo più dolore per il fatto che tu mi abbia sorpreso nella condizione miseranda nella quale mi vedi, di quello che provai morendo. Non posso ricusarti quello che mi chiedi: sono collocato così in basso perché fui ladro nella sagrestia riccamente addobbata, e il furto fu allora ingiustamente attribuito ad altri. Ma affinché tu non gioisca per avermi veduto in questo stato, se mai uscirai dall’inferno, Marte fa uscire dalla val di Magra un fulmine avviluppato in nuvole cupe; e con travolgente e aspra tempesta si combatterà a Campo Piceno; per cui esso vigorosamente dissiperà le nubi, in modo che ogni Bianco ne sarà colpito. E ho detto ciò perché ti debba far male! ”

Fonti: parafrasidivinacommedia.jimdo.com

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