Home » Italiano » Parafrasi – 30° Canto – Paradiso – Divina Commedia

Parafrasi – 30° Canto – Paradiso – Divina Commedia

Mezzogiorno arde riguardo a noi Italiani alla distanza di circa seimila miglia e la terra inclina l’ombra sua a forma di cono in linea orizzontale dalla parte di ponente [manca un’ora circa al nascer del sole], allorché il mezzo dei cielo, che è il più alto riguardo a noi, comincia a schiarirsi pei primi albori, in modo che ogni stella sparisce dal fondo in cui siamo. Ed a misura che si avanza l’aurora, il cielo si oscura di ogni stella fino alla più luminosa, non altrimenti il tripudio dei cori angelici che festeggia e tripudia intorno al punto che mi abbagliò e che, mentre contiene tutti gli ordini angelici, parve ai miei occhi esser contenuto dai medesimi ordini, a poco a poco alla mia vista disparve: per lo che la cessazione della gioconda vista degli angeli e il mio amore per Beatrice, mi costrinsero a rivolgere nuovamente a lei i miei occhi. Se in una sola lode io qui riunissi tutte le lodi che nel corso di questo poema ho detto di lei, non sarebbe sufficiente a dire pienamente quel che dovrei dire questa volta. La bellezza che io vidi eccede la misura non solo del nostro intendere, ma certo io credo che solo Iddio possa interamente comprenderla. Da questo punto della mia narrazione io mi confesso sgomentato, più che alcun poeta comico o tragico fosse giammai superato da qualche punto di più difficile fattura nel suo argomento. Perché come il sole impiccolisce la vista quando essa è più languida così la rimembranza del dolce riso di Beatrice rimpiccolisce la mia mente confondendola in modo che quasi la perdo. Dal primo giorno che io in questa vita mortale vidi il suo viso, fino alla vista di lei nel Paradiso, non fu mai impedito al mio canto di poter continuare a parlar di lei; ma ora conviene che il mio andare ancora dietro alla sua bellezza poetando, cessi come cessa ciascun artista, quando è giunto all’estremo dei suo potere. Beatrice così bella, quale io la lascio a celebrarsi a miglior suono che non è quello della mia tromba, la quale già va conducendo al suo termine il difficile poema, con l’atteggiamento e la voce di un condottiero che ha eseguita la sua missione, ricominciò: «Noi siamo già usciti fuori del maggior cielo corporeo e siamo saliti al cielo, che è pura luce [all’Empireo]; luce intellettuale piena d’amore, amore di un bene vero pieno di letizia, letizia che trascende ogni dolcezza. – Quindi vedrai gli angeli e i beati; ed i beati si mostreranno a te in quello stesso aspetto corporeo in cui tu li vedrai nel giorno del giudizio universale». – Come subitaneo lampo che separi gli spiriti visivi sì che priva l’occhio di ricevere la impressione di oggetti più luminosi; così mi folgorò d’intorno una viva luce e mi lasciò gli occhi così abbagliati dal suo fulgore, che io non vedevo nulla. Beatrice disse: «Iddio che fa contento questo cielo, accoglie in sé le anime con tal saluto, per disporle alla luce di sua vista, quasi come l’uomo dispone la candela al lume che deve rendere». Non così tosto furono dentro a me venute queste brevi parole, che io compresi d’innalzarmi al disopra del mio naturale potere; e ripresi una vista più forte della prima, tanto che nessuna altra luce è tanto pura e risplendente che io non l’avessi sostenuta. E vidi un lume in forma di un gran fiume, dove continui fulgori fluivano come onde, fra due rive dipinte di variopinti fiori. – Da tal fiumana uscivano scintille e da ogni parte penetravano entro i fiori, quasi rubini legati in oro. Poi, come inebriate dell’odore dei fiori, si sprofondavano di nuovo nel meraviglioso fiume di luce e se in esso entrava una favilla un’altra ne usciva. Beatrice, cosi mi disse: «L’alto desiderio che ora ti infiamma e ti stimola di aver notizia di ciò che tu vedi mi piace tanto più quanto è più intenso. Ma prima che si sazi tanta tua sete, conviene che tu beva di questa acqua». Soggiunse ancora: «Il fiume e le faville luminose, a guisa di topazi, le quali entrano ed escono, e l’erbe e i fiori ridenti, sono cenni che rappresentano in figura ciò che sono in realtà. Non è già che queste cose siano per sé stesse difficili ad intendersi, ma è difetto da parte tua, non hai ancora una vista tanto elevata». Non vi è bambino che si lanci col volto verso il latte, se si svegli molto più tardi dell’ora in cui è solito poppare, come feci io per far sì che gli occhi miei divenissero più forti e fossero veri specchi alle cose di fuori, chinandomi verso l’onda luminosa che scorre dal divin fonte, affinché la vista delle anime vi si faccia migliore. E tosto che l’orlo delle mie palpebre bevve in quella riviera di fiume, mi parve che la figura di quell’acqua, che dianzi era lunga, divenisse rotonda. Poi, come gente stata mascherata la quale, se si toglie la sembianza non sua, sotto la quale si nascose, pare tutt’altra da quella che era prima che si travestisse: cosi quegli angeli e quelle anime mi si mostrarono in maggior letizia così che io vidi manifeste anche le corti del cielo. O splendore di Dio, per mezzo del quale io vidi l’alto trionfo del vero regno, dammi virtù a poter descrivere il come lo vidi. Lassù è un lume, che rende il Creatore visibile a quella creatura, la quale trova la sua pace solo nella vista di lui: e quel lume si distende in figura circolare di tanta ampiezza che la sua circonferenza formerebbe una cintura troppo larga intorno alla circonferenza del sole. – Quanto egli apparisce si forma dì un raggio solo ed unito che si riflette alla parte superiore del primo cielo mobile il quale, da questo raggio prende vita e potenza di operare nei cieli sottoposti. E come un colle si specchia in acqua che scorre all’ima sua falda, quasi per vedersi adorno quando è ricco d’erbe e di fiori; così io vidi quante anime, partendosi dai corpi mortali hanno fatto ritorno a Dio, le quali, in più di mille soglie stando intorno al lume sottostante, vi si specchiavano. E se il più basso gradino raccoglie in sé così gran lume, immaginate quanta esser deve la larghezza di questa rosa nelle sue estreme foglie? La mia vista non si smarriva nell’ampiezza e nell’altezza di quel luogo beato, ma tutta ne comprendeva la quantità e la qualità. Vicinanza e lontananza, lì né aggiunge né toglie nulla al vedere, perché dove Dio crea senza l’intervento delle cause seconde, le leggi di natura non operano per nulla. Nel mezzo della sempiterna rosa s’innalza per gradi ed olezza soave odore di lodi al sole che produce lì quell’eterna primavera. Beatrice, simile a uomo che tace e vuol parlare, mi trasse a sé e mi disse: «Mira quanta è l’adunanza dei beati adorni delle stole bianche! Vedi la nostra città quanto gira! Vedi i nostri scanni tanto ripieni che ormai non si desidera che poca gente! In quel gran seggio al quale tu tieni rivolti gli occhi, meraviglioso per la corona imperiale posta sovra di esso sederà, prima che tu giunga in questo gaudio del cielo, l’anima che avrà in terra dignità imperiale, dell’alto Arrigo [di Luxemburgo] che verrà a riformare l’Italia prima che sia disposta. La cieca cupidigia che vi guasta l’animo e vi corrompe, vi ha resi imbecilli come un fanciullino che muore di fame e respinge la balia; ed allora [quando Arrigo muoverà all’impresa] sarà capo supremo della chiesa un tal personaggio [Clemente V] che sarà in opposizione ad Arrigo, tanto palesemente che occultamente. Ma per poco tempo sarà un tal papa sofferto da Dio nel santo ufficio, ché egli, per suo merito, sarà cacciato giù nella bolgia dov’è Simon mago [tra i simoniaci. Vedi Inf.,c. XXI. vv. 82 e segg.] e farà che quel papa nativo di Anagni [Bonifazio VIII] precipiti più giù entro al foro».

Guarda Anche

Riassunto – Canto 1° – Purgatorio – Divina Commedia

All’invocazione alle Muse, che occupa i primi dodici versi del canto, segue la ripresa del ...

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *