MANZONI
LA VITA
Nacque a Milano nel 1785. Aveva letteralmente l’illuminismo nel sangue: sua madre, Giulia Beccarla, era sposata al conte Pietro Manzoni, ma probabilmente il vero padre di Alessandro fu Giovanni Verri, fratello dei fondatori del “Caffè”.
Qualche anno dopo la nascita di Alessandro, la madre si trasferisce a Parigi col conte Carlo Imbonati. Il bambino a sei anni era stato messo in collegio, e ci restò fino ai sedici; in collegio si formò una solida cultura classica, ma maturò anche una spiccata avversione per i principi tradizionalisti che gli si volevano inculcare; ne uscì anticlericale e democratico. Il suo primo componimento poetico si intitola “Il trionfo della libertà”.
Nel 1805 Manzoni si trasferì a Parigi, dove risiedeva la madre insieme con il suo compagno, che morì nello stesso anno. Proprio in onore di lui il Manzoni compose il carme In morte di Carlo Imbonati. “ Io non vivo che per la mia Giulia e per adorare ed imitare con Lei quell’uomo che solevi dirmi essere la virtù stessa”.
A Parigi Manzoni frequenta l’ambiente degli “ideologi”, eredi del pensiero illuminista. Si lega in una duratura amicizia con il filologo e storico Carlo Fauriel.
Rientrato a Milano nel 1807, incontrò e si innamorò di Enrichetta Blondel, con la quale si sposò con rito calvinista e dalla quale ebbe ben 10 figli (otto dei quali gli morirono tra il 1811 e il 1873).
Il 1810 fu l’anno della conversione religiosa. Giulia torna alla pratica religiosa e Enrichetta si convertì al cattolicesimo. Ai motivi di questa scelta ebbero peso le conversazioni con un abate.
In questo stesso periodo di manifestano i sintomi della nevrosi che tormenterà lo scrittore fino alla fine: irrequietezza, agorafobia, meticolosità ossessiva; anche la leggera balbuzie da cui era affetto si può collegare alle inquietudini profonde di quest’uomo.
Nel 1810 Manzoni si stabilisce a Milano dove sceglie una vita tranquilla.
Gli anni che vanno fino al 1827 sono anni di grande fervore creativo. Lo scrittore ripudia i versi giovanili e si dà alla creazione di una lettura moderna, romantica e cristiana. Il primo frutto sono gli “Inni Sacri”, “Osservazioni sulla morale cattolica”. Tra il 1816 e il 1822 compone le due tragedie.
Intanto la sua casa diviene un punto d’incontro dei giovani letterati romantici milanesi. Nel 1821 compone le due odi civili. Sempre in quell’anno cominciava a stendere il suo romanzo col titolo Fermo e Lucia. Dopo una profonda revisione, il romanzo uscì col titolo I promessi sposi nel 1827.
A questo punto Manzoni abbandonò la letteratura creativa. Nel 1840 ci fu l’edizione definitiva de I promessi sposi.
La maturità e la vecchiaia furono segnate da pochi avvenimenti: la morte della moglie Enrichetta (1833), la morte di sei dei nove figli che aveva avuto da lei, un nuovo matrimonio (1837) con Teresa Borri, che pure morirà prima di lui.
Nel 1860 fu nominato senatore e l’anno dopo si recò a Torino per votare la costituzione del regno d’Italia. Fu nominato presidente di una commissione dell’unificazione della lingua italiana.
Morì a ottantotto ani nel 1873. Giuseppe Verdi scrisse un Requiem in suo onore.
LE IDEE
La formazione illuministica è alla base del pensiero di Manzoni. Utilizza un metodo razionale e analitico con cui affronta ogni questione. Il Terrore, l’assolutismo napoleonico, poi la Restaurazione, il fallimento dei tentativi liberali, sono per lui segni dell’incapacità dell’uomo di costruirsi un futuro migliore: la violenza, le passioni, i pregiudizi sono più forti della ragione. Il razionalismo manzoniano funziona allora più che altro in negativo, come critica delle follie umane, senza una fiducia positiva.
Questo pessimismo colora di sé il cristianesimo di Manzoni. Egli trova nel Vangelo un fondamento agli ideali di matrice illuminista di libertà, eguaglianza e fraternità. Il fallimento degli sforzi umani, il peccato, il dolore sono problemi che assillano il suo pensiero come una continua sfida alla fede in un Dio giusto e misericordioso.
Dio gli appare lontano dall’uomo. L’umanità è segnata dal peccato originale, incapace di fare il bene con le sue forze: solo la misericordia gratuita di Dio può salvare alcune anime elette.
Manzoni è interessato alla storia civile delle istituzioni, delle idee e dei modi di vita, alla storia dei popoli e degli oppressi e non a quella dei regnanti e delle loro guerre. I fatti della storia li giudica sulla base dei principi immutabili della morale cristiana.
Due saggi storici illustrano bene questi atteggiamenti:
– La Storia della colonna infame; un processo contro presunti untori svoltosi. L’intento è dimostrare che la barbarie del processo non fu soltanto automatico dei pregiudizi dell’epoca: se i giudici si fossero ispirati alle migliori dottrine giuridiche del loro tempo, avrebbero riconosciuto l’innocenza dei deputati.
– La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859; incompiuto; dimostra che la rivoluzione francese era stata identificata fin dall’inizio di illegittimità, origine dei tanti mali seguiti, al contrario della “rivoluzione” italiana del 1859, che aveva ottenuto il consenso popolare nelle dovute forme.
Scrisse “ La lettre à Monsieur Chauvet sur l’unité de lieu et de temps dans la tragédie” e la “Lettera al marchese Cesare d’Azeglio sul romanticismo”. Nella prima il Manzoni affronta la questione relativa alle tre unità aristoteliche e discute il rapporto tra storia e poesia. Manzoni nega la validità delle tre unità difendendo il sistema tragico del romanticismo e, alle regole della retorica tradizionale, oppone la regola del “vero” che in sé comprende la realtà dei fatti e dei sentimenti. Unità di azione non è la rappresentazione di un fatto isolato, ma di un susseguirsi di avvenimenti collegati fra loro, mentre il poeta tende ad un’unità più profonda, isolando un avvenimento predominante “la catastrofe” che si presenta come il compimento dei disegni degli uomini o della Provvidenza. Di conseguenza spazio e tempo sono definibili solo in base alle vicende.
Nella lettera al marchese Cesare d’Azeglio scrive che il suo è un romanticismo milanese, e a Milano la parola romanticismo ha designato “un complesso d’idee più ragionevole, più ordinato, più generale che in nessun altro luogo”.
Distingue inoltre una parte “negativa”, cioè critica, e una “positiva”. La prima consiste nel rifiuto della mitologia, dell’imitazione servile dei classici e delle regole imposte dalla tradizione retorica. La parte “positiva” si riconduce al principio che “la poesia e la letteratura in genere debba proporsi l’utile per scopo (utilità morale, didattica), il vero per soggetto e l’interessante per mezzo (argomenti di attualità, abilità linguistiche)”.
I temi delle opere devono essere attinti a ciò che è realmente accaduto nella storia: lo storico si attiene ai dati oggettivi, alla poesia spetta di approfondire le loro ragioni intime, i moventi interiori dei protagonisti: è questo lo spazio della creazione artistica.
Dunque oggetto della poesia sono i sentimenti, le passioni; il suo scopo è di spingere il lettore a distaccarsi da essi.
IL ROMANZO
LA TEMATICA
Il romanzo era il genere letterario moderno e popolare per eccellenza. Era l’unico genere che consentisse di rappresentare la realtà storica da tutti i punti di vista; infatti nella tradizione classica si prescriveva a ogni genere una tematica ristretta e uno stile uniforme. Queste caratteristiche si incontravano con le aspirazioni all’utile e al vero della poetica manzoniana.
Si trattava di inventare un romanzo che fosse insieme storico, realistico e di idee.
La prima idea de I promessi sposi venne a Manzoni dalla lettura guida in cui l’impedire i matrimoni era punibile. La ricostruzione storica ha larga parte nel romanzo: i personaggi sono realmente esistiti, le ampie digressioni storiche e citazioni di documenti.
La storia determina le vicende dei personaggi: esempio, la paura di don Abbondio è caratteristica individuale, ma anche dovuta a condizioni di generale insicurezza.
Il vero protagonista dei Promessi Sposi è il ‘600, secolo di disordine, pregiudizi e superstizioni di cui Manzoni denuncia gli arbitri e le ingiustizie.
Per la prima volta nella letteratura italiana un’opera di alto impegno ha per protagonisti due popolani;nelle parti dedicate alla storia collettiva, al centro sono le sofferenze del popolo, mentre la grande politica dei governanti è schernita.
I personaggi a “tutto tondo” hanno uno spessore psicologico e una storia interiore e appartengono agli strati alti della società. ( Don Rodrigo, padre Cristoforo,etc.)
Gli sposi promessi hanno caratteri più elementari, reazioni più prevedibili. Gli umili sono modelli di bontà, ma sbagliano ogni volta che tentano di risolvere i problemi di propria iniziativa.
Del resto nessun personaggio è in grado di dominare gli eventi e correggere il male.
Tutto ciò che è positivo è dovuto a Providenza. (l’Innominato, la Peste). La fiducia in Dio rasserenerebbe il pessimismo dell’autore, ma questa Provvidenza ha i segni terribili del flagello (o salva il singolo o unisce l’intera società).
Il romanzo di Manzoni presenta una complessità inesauribile; si può cogliere una tensione fra tre prospettive: quella democratica- evangelica, quella moderata paternalista e una visione religiosa che supera l’una e l’altra. Manzoni fa sorgere nel lettore domande esistenziali.
LA COSTRUZIONE DELL’INTRECCIO
La trama è complessa: comprende un arco temporale di oltre due anni, si svolge in luoghi diversi; entra nella vita di numerosi personaggi e più volte costruisce un flash-back.
I primi otto capitoli hanno una struttura più compatta: si svolgono in un ambiente circoscritto come una successione di scene. Poi con la separazione dei protagonisti, il quadro si complica: due blocchi sono dedicati alla vicenda di Renzo nel tumulto di Milano e alla sua fuga e a quella di Lucia, fino al ricongiungimento e allo scioglimento finale.
Gli stacchi narrativi sono sempre segnalati da interventi del narratore, che guida il lettore negli spostamenti di tempo e luogo. È assente la tecnica del colpo di scena.
LE TECNICHE NARRATIVE
Manzoni finge di trascrivere il suo racconto da un manoscritto dell’epoca in cui è ambientata la vicenda. L’anonimo autore del manoscritto è chiamato in causa, per giustificare un’omissione di nomi o altri particolari. Si tratta di un narratore onnisciente, secondo i canoni del realismo ottocentesco: conosce l’interiorità di tutti i personaggi, segue le vicende in luoghi diversi, può anticipare sviluppi futuri.
L’autore non chiede al lettore un’immedesimazione emotiva nella vicenda, ma un atteggiamento distaccato e critico. Il Manzoni non è mai neutrale rispetto a ciò che narra, c’è sempre un giudizio morale e severo.
Il tono dominante è familiare e smorzato: se entrano riferimenti “alti”, sono in funzione ironica. La sintassi è a volte complessa, ma libera e disinvolta.
Si ha la “ pluridiscorsività “ manzoniana, cioè nel discorso del narratore si odono diverse “voci” in un continuo svariare di punti di vista.
LE TRE REDAZIONI
I Promessi Sposi sono frutto di un eterno lavoro durato vent’anni e svoltosi in tre fasi:
– tra il 1821 e il 1823 Manzoni scrisse “Fermo e Lucia” che era completo , ma provvisorio.
– nel 1827 l’opera uscì col titolo definitivo I Promessi Sposi.
– Manzoni continuò a ritoccarne la forma linguistica, fino all’edizione definitiva che uscì a dispense dal 1840 al 1842.
Nella prima stesura alcuni episodi laterali della trama erano sviluppati molto più ampiamente e la lingua aveva un carattere ibrido.
La revisione puntò a ridurre le digressioni e a smorzare le punte espressive ricercando un tono medio e un colorito linguistico più omogeneo.
Meno radicali furono gli interventi tra la seconda edizione e quella definitiva. La revisione fu quasi esclusivamente linguistica.
MANZONI E LA QUESTIONE DELLA LINGUA
Tra il 1830 e il 1859 Manzoni lavorò duramente al trattato Della lingua italiana, rimasto però incompiuto, che si poneva nel solco della ormai plurisecolare questione della lingua e si proponeva tre scopi: affrontare il problema della natura del linguaggio, definire quale fosse la vera lingua italiana e stabilire i fini letterari e civili della lingua nazionale unitaria.
Altri scritti linguistici di Manzoni sono: Sulla lingua italiana (1845), Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla (1868), l’Appendice all’opera precedente (1869), Intorno al libro “De vulgari eloquio” di Dante Alighieri (1868), la Lettera intorno al vocabolario (1868) e la Lettera al marchese Alfonso della Valle di Casanova (1871).
In sostanza, Manzoni riconobbe a tutti i dialetti italiani la dignità di lingua ma, dovendo scegliere una lingua unitaria per tutta l’Italia, propose di adottare quella più ricca culturalmente, cioè il fiorentino. Non doveva essere però il fiorentino degli scrittori classici, ma quello parlato, in grado di adeguarsi alle esigenze della società. A questo modello si sarebbero dovuti attenere tutti gli italiani.