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Lucrezio – De rerum natura ,I, vv 102-145

Testo latino

Tutemet a nobis iam quovis tempore vatum terriloquis victus dictis desciscere quaeres. quippe etenim quam multa tibi iam fingere possunt somnia, quae vitae rationes vertere possint fortunasque tuas omnis turbare timore! et merito; nam si certam finem esse viderent aerumnarum homines, aliqua ratione valerent religionibus atque minis obsistere vatum. nunc ratio nulla est restandi, nulla facultas, aeternas quoniam poenas in morte timendum. ignoratur enim quae sit natura animai, nata sit an contra nascentibus insinuetur et simul intereat nobiscum morte dirempta an tenebras Orci visat vastasque lacunas an pecudes alias divinitus insinuet se, Ennius ut noster cecinit, qui primus amoeno detulit ex Helicone perenni fronde coronam, per gentis Italas hominum quae clara clueret; etsi praeterea tamen esse Acherusia templa Ennius aeternis exponit versibus edens, quo neque permaneant animae neque corpora nostra, sed quaedam simulacra modis pallentia miris; unde sibi exortam semper florentis Homeri commemorat speciem lacrimas effundere salsas coepisse et rerum naturam expandere dictis. qua propter bene cum superis de rebus habenda nobis est ratio, solis lunaeque meatus qua fiant ratione, et qua vi quaeque gerantur in terris, tunc cum primis ratione sagaci unde anima atque animi constet natura videndum, et quae res nobis vigilantibus obvia mentes terrificet morbo adfectis somnoque sepultis, cernere uti videamur eos audireque coram, morte obita quorum tellus amplectitur ossa. Nec me animi fallit Graiorum obscura reperta difficile inlustrare Latinis versibus esse, multa novis verbis praesertim cum sit agendum propter egestatem linguae et rerum novitatem; sed tua me virtus tamen et sperata voluptas suavis amicitiae quemvis efferre laborem suadet et inducit noctes vigilare serenas quaerentem dictis quibus et quo carmine demum clara tuae possim praepandere lumina menti, res quibus occultas penitus convisere possis.

Trad.

Tu stesso, una volta o l’altra, vinto dalle parole dei vati, cercherai di staccarti da noi. Quanti sogni difatti essi possono ora inventarti, tali da poter sovvertire la condotta della vita e turbare col timore tutta la tua sorte! Sicuro: perché se gli uomini vedessero che esiste un termine fisso per le loro sofferenze, in qualche modo riuscirebbero ad opporsi alle paure superstiziose e alle minacce dei vati. Ora non c’è nessun modo di opporsi, nessuna facoltà, perché si devono temere le pene eterne. S’ignora infatti quale sia la natura dell’anima, se sia nata o al contrario si introduca nei nascenti, se perisca insieme con noi dissolta dalla morte o vada a vedere le tenebre dell’ Orco e gli immani abissi, o per volere divino si introduca in animali d’altra specie, come cantò il nostro Ennio, che primo portò giù dall’ameno Elicona una corona di fronda perenne, che tra le genti italiche doveva aver sicura fama; e tuttavia Ennio inoltre espone cantandola in versi immortali, che esistono le regioni dell’Acheronte, fin dove non durerebbe la vita delle anime o dei nostri corpi ma certi simulacri mirabilmente pallidi; di là racconta che sorse innanzi a lui l’immagine di Omero sempre glorioso e cominciò a versare lacrime amare, iniziasse a rivelare con le sue parole la natura delle cose. Perciò, non solo occorre avere dottrina delle cose celesti, in qual modo avvengano i moti del sole e della luna, e per qual forza si svolga ogni cosa in terra, così e in primo luogo dobbiamo vedere con acuto intelletto di che siano fatte l’anima e la natura dell’animo, e quale cosa, apparendoci mentre siamo svegli e affetti da malattia oppure sepolti nel sonno, atterrisca le nostre menti, sì che ci pare di vedere e udire da presso i morti di cui la terra abbraccia le ossa. Né alla mia mente non sfugge che è difficile illustrare in versi latini le oscure scoperte dei Greci, scoperte che bisogna trattare con parole nuove, per la povertà della lingua e la novità degli argomenti; ma il tuo valore tuttavia e l’ambito piacere della soave amicizia mi persuadono a sostenere qualsiasi fatica e m’inducono a vegliare durante le notti serene, cercando con quali parole e con quale poesia io possa accendere innanzi alla tua mente una chiara luce, per cui tu riesca a scrutare a fondo le cose nascoste.

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