I poeti Dante Alighieri e Francesco Petrarca hanno vissuto in contesti storico-politici differenti che hanno condizionato la loro produzione scritta. L’intellettuale Dante visse fino in fondo la situazione critica di Firenze, la sua città natale, negli anni in cui il comune era dilaniato da lotte civili interne dovute alla lotta tra guelfi e ghibellini. Partecipando in prima persona a questo difficile periodo storico, rimase egli stresso vittima e ingiustamente venne condannato all’esilio. Petrarca, invece, visse nell’epoca delle Signorie, in un periodo di transizione tra il medioevo e l’umanesimo quando crollarono la Chiesa e l’Impero, le due istituzioni che da sempre, nel Medioevo, erano state un punto di riferimento per l’uomo.
Da qui notiamo la principale differenza tra i due poeti: Dante, l’intellettuale cittadino, dedito ad un attivo impegno politico e legato agli schemi medioevali; Petrarca, l’intellettuale cosmopolita, legato a nessuna tradizione municipale e aperto a nuove conoscenze.
Il contesto storico-politico degli anni in cui hanno vissuto Dante e Petrarca delinea anche il loro modo di essere, la loro visione del mondo che poi è rispecchiata nelle loro opere.
Dante è dotato di un sapere enciclopedico e questo lo notiamo soprattutto nelle sue opere: la Commedia, la sua opera più importante nel quale tratta innumerevoli temi; le Rime, nella quale esprime la sua passione per la conoscenza e la difficoltà per raggiungerla; il Convivio, dove vengono trattati svariati argomenti. Petrarca, invece, concentra la sua produzione scritta sull’uomo, in particolare su sé stesso e sul proprio dissidio interiore; come nel suo Canzoniere. La condizione di peccatore del poeta, insicuro e tormentato, è di valore universale, in quanto ciò che è la condizione del poeta, rispecchia anche l’essere dell’uomo di quel periodo storico. Quindi, mentre Dante ha fiducia in un ordine unitario e fonda il suo pensiero sulla filosofia della Scolastica, prendendo come punto di riferimento S. Tommaso, Petrarca fonda il suo pensiero sulla filosofia che pone l’uomo al centro della sua indagine e che studia la sua interiorità, così si affida al pensiero di S. Agostino che cita anche nella sua opera Secretum, delineandolo come l’uomo che lo aiuta a raggiungere la salvezza eterna nel suo continuo dissidio interiore tra i piaceri terreni e l’elevazione spirituale. Petrarca ha scritto altre due opere che rispecchiano il dissidio interiore che lo tormentava: il De vita solitaria, nel quale si comprende come il poeta voglia elevarsi spiritualmente ma non rinuncia ai piaceri terreni; il De otio religioso, nel quale elogia la vita monastica dedita alla preghiera ed alla sola contemplazione di Dio.
Petrarca scorge, comunque, nella fede una tensione continua a differenza di Dante che percepisce in essa una certezza solida e stabile. Infatti, abbiamo già detto che Petrarca vive in un epoca storica durante la quale vi è il crollo della Chiesa, istituzione corrotta e instabile, e per questo motivo egli nutre una profonda delusione ad è alla continua ricerca di quei valori che sono andati perduti; è perciò un intellettuale cosmopolita. Dante, invece, è fermo sulla sua concezione universalistica dell’Impero, su esempio dell’Impero romano mentre, in Petrarca, il pensiero di unità dell’Impero è totalmente scomparso.
Nei due intellettuali vi è anche una concezione diversa di poeta e letteratura; così mentre Dante è il colto medioevale che regge ogni campo della conoscenza, si pone come maestro di vita e concepisce una letteratura basata sulla fede religiosa e la morale, Petrarca è semplicemente “il poeta”, convinto del valore autonomo della letteratura e vede nella poesia un mezzo di purificazione. Egli è un testimone della condizione umana e, nella sua opera Rerum vulgarium fragmenta, è una guida spirituale che mette a disposizione dei suoi lettori le sue conoscenze e le sue competenze culturali.
In base all’esperienza di vita dei due poeti, si nota una differenza stilistica dovuta al plurilinguismo di Dante e all’unilinguismo di Petrarca.
Il De vulgari eloquentia di Dante è un trattato in latino sulle lingue che si incentra principalmente sulla volontà del poeta di ridare alla lingua volgare una sua dignità. Dante vede nel volgare la lingua di comunicazione, adatta a trattare di argomenti elevati, come afferma anche nel Convivio, ma non disprezza il latino: infatti, la definisce una lingua secondaria e la utilizza principalmente per rivolgersi ad un pubblico dotto nel De vulgari eloquentia. Petrarca, a differenza di Dante, identifica nel latino la lingua di comunicazione, la lingua ufficiale della cultura. Utilizza il volgare solo nel Canzoniere e nel poemetto i Trionfi e privilegia per le opere dai contenuti più elevati, il latino. Petrarca, quindi, non disprezza il volgare, anzi cerca di elevarlo alla bellezza formale del latino. Petrarca ama l’uso del latino anche perché esso si rifà alla cultura del mondo classico. Come Petrarca, anche Dante rievoca la cultura classica, utilizzando immagini e temi classici per poi rimodellarli a seconda della sua visione della realtà. A differenza di Dante che allegorizza la cultura classica, Petrarca è consapevole della rottura avvenuta tra mondo antico e mondo contemporaneo e perciò vuole recuperare il senso autentico dei testi antichi ricercando in essi i valori perduti nella sua epoca.
L’esperienza poetica e l’intera vita dei due poeti, ruota attorno alle figure di due donne, Beatrice e Laura che, a loro volta, rispecchiano la personalità dei due autori che le hanno create: Dante e Petrarca. Beatrice e Laura sono evocatrici di due epoche della storia. Beatrice è la “donna angelica”, portatrice di elevazione spirituale, aspirazione alla bellezza divina; non fa parte del mondo terreno ma del mondo eterno, perfetto. Beatrice vive il suo pieno splendore dopo la sua morte e così annuncia l’autenticità della sua bellezza interiore. Ciò è provato soprattutto nell’opera di Dante, la Vita Nuova, nel quale notiamo il cambiamento di Dante e del suo modo di poetare e lodare Beatrice, dopo la sua morte. Ella non è mai descritta in tratti fisici da Dante ma è descritta solo in base agli effetti che provoca al suo passaggio. Laura, invece, è conosciuta nel mondo terreno soprattutto per la sua bellezza, subisce l’azione del tempo ed è inserita in una prospettiva del tutto naturale. La donna di Petrarca, a differenza di Beatrice, provoca nel poeta una costante agitazione, è fonte della perdizione del poeta, come verifichiamo nella sua opera Rerum vulgarium fragmenta. La sua morte è una tragica fine di ogni desiderio terreno. L’amore di Petrarca è, perciò, un amore sensuale, terreno e continuamente vissuto come peccato. Inoltre, è anche materia per l’investigazione dell’io. L’amore di Dante, invece, è percepito come strumento per giungere a Dio, è portatore di salvezza eterna.
Per concludere possiamo affermare che Dante è stato per Petrarca un importante punto di riferimento anche se egli ne parla con distacco e indifferenza.
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