Beatrice esorta Dante a distogliere la sua mente dal doloroso pensiero dell’esilio e a riporre ogni speranza nella giustizia divina: la bellezza di Beatrice e l’affetto che dimostra verso di lui sono tali che il Poeta prova un dolce smarrimento. Poi la sua donna lo invita a rivolgere l’attenzione ancora a Cacciaguida, il quale gli presenta alcune fra le anime più famose del cielo di Marte: Giosuè e Giuda Maccabeo, Carlo Magno e il paladino Orlando, Guglielmo d’Orange e lo scudiero Renoardo, Goffredo di Buglione e Roberto il Guiscardo. Dopo che Cacciaguida ha ripreso il suo posto nella croce luminosa di Marte, Dante e Beatrice ascendono al sesto cielo, quello di Giove. Le anime di coloro che nel mondo perseguirono in sommo grado la giustizia, disponendosi nella forma di lettere alfabetiche, scrivono nel cielo la frase: “Diligite iustitiam qui iudicatis terram”. In seguito altri spiriti luminosi scendono a disporsi nell’ultima M della scritta e la lettera, a poco a poco, si trasforma, assumendo la figura dell’aquila, simbolo dell’Impero al quale è affidata l’amministrazione della giustizia in terra. Il canto termina con una dura invettiva di Dante contro la cupidigia degli uomini di Chiesa, che con il loro comportamento offendono gravemente la giustizia, dimenticando la semplicità e la povertà predicate dal Vangelo.
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