Dopo che le accoglienze cortesi e gioiose furono ripetute più volte, Sordello si tirò indietro, e chiese: « Ma voi, chi siete? » « Prima che le anime degne della salvezza (di salire a Dio: in quanto riscattate dalla morte di Cristo) fossero avviate a questo monte, io morii e fui sepolto per ordine di Ottaviano. Sono Virgilio; e per nessun’altra colpa fui escluso dal cielo che per non aver avuto la fede in Cristo. » In questo modo rispose allora la mia guida. Come colui che vede improvvisamente dinanzi a sé una cosa che desta in lui stupore, e non sa se credervi o no e dice: « E’… non è… », così parve Sordello; quindi abbassò gli occhi, e tornò in atteggiamento umile verso Virgilio, e l’abbracciò là dove l’inferiore abbraccia chi gli è superiore (“dal petto in giù”, secondo l’Anonimo Fiorentino). Disse: « O gloria di tutti gli Italiani per mezzo del quale la nostra lingua (nostra perché ancora usata come strumento culturale) mostrò tutta la sua potenza espressiva, o pregio eterno della regione mantovana dov’io nacqui, quale merito mio o quale grazia divina permette che io ti possa vedere? Se io sono degno di udire le tùe parole, dimmi se vieni dall’inferno, e da quale cerchio » Virgilio gli rispose: « Passando attraverso tutti i cerchi del mondo della dannazione sono giunto in purgatorio: una forza celeste mi ha mosso, e vengo assistito da questa. Non per aver commesso qualche colpa, ma per non aver avuto la vera fede ho perduto la possibilità di vedere Dio che tu desideri contemplare e che da me fu conosciuto troppo tardi (dopo la morte). Nell’inferno vi è un luogo non rattristato da tormenti veri e propri, ma solo dalle tenebre, dove i lamenti delle anime non risuonano con acute grida, ma solo con sospiri. Là io sono confinato insieme ai bambini innocenti sorpresi dalla morte prima d’essere lavati (che fosser… essenti: con il battesimo) dalla macchia del peccato originale (dall’umana colpa); là mi trovo con coloro che non si rivestirono delle tre sante virtù (quelle teologali), ma conobbero e praticarono tutte le altre (le virtù cardinali), senza commettere alcuna colpa vera e propria. Ma se tu conosci il cammino e ti è permesso indicarlo, donaci qualche spiegazione per cui possiamo più celermente giungere là dove ha veramente inizio il purgatorio ». Rispose: « Non ci è imposto di stare in un luogo fisso; mi è permesso salire e girare intorno al monte; finché potrò salire, ti accompagnerò per farti da guida. Però vedi come già il giorno declina, e non è possibile salire di notte; perciò è opportuno pensare a trovare un luogo piacevole (bel soggiorno, dove trascorrere il tempo notturno). Da questa parte a destra vi sono delle anime appartate: se non ti dispiace, io ti condurrò presso di esse, e con gioia le conoscerai ». Virgilio rispose chiedendo: « Com’è questa legge? Colui che volesse salire di notte, sarebbe impedito da qualche forza esterna, oppure non salirebbe per il fatto di non aver in sé la forza necessaria ? » E il nobile Sordello tracciò col dito una linea in terra, dicendo: « Vedi? neppure questa linea varcheresti dopo il tramonto del sole; non perché al salire sia d’impedimento nessun’altra cosa se non la tenebra notturna: questa togliendo la possibilità impaccia la volontà. Certamente durante la notte, finché l’orizzonte chiude sotto di sé la luce del giorno, si potrebbe scendere in basso e vagare camminando intorno alla costa del monte ». A questo punto la mia guida, con l’aspetto di uno che si meraviglia, disse: « Guidaci dunque al luogo ove affermi che possiamo trovare una dimora piacevole ». Ci eravamo di poco allontanati di lì, quand’io mi accorsi che il monte era incavato, allo stesso modo che i valloni incavano i fianchi dei monti sulla terra. Sordello disse: « Andremo là dove la costa si avvalla; ed ivi attenderemo l’alba del nuovo giorno ». C’era un sentiero obliquo né ripido né piano, che ci condusse alla parete laterale dell’avvallamento, in un punto dove il suo orlo si abbassa di più della metà (dell’altezza che esso ha nella parte superiore). Il colore dell’oro e dell’argento puro, il rosso della porpora e il bianco della biacca, il turchino dell’indaco, il riflesso del legno levigato e terso, e il verde vivo dello smeraldo nel momento in cui si spezza, collocati in quella valletta sarebbero stati vinti nella purezza del colore da quell’erba e da quei fiori, come il meno è vinto dal più. La natura colà non solo aveva sparso i suoi colori, ma vi diffondeva un profumo sconosciuto e ineffabile composto di mille soavi odori. Sul verde e sui fiori da lì vidi anime che sedevano cantando « Salve, Regina », le quali a causa dell’avvallamento non apparivano dal di fuori. « Prima che tramonti ormai il poco sole rimasto, non vogliate che io vi porti in mezzo a costoro » cominciò il mantovano Sordello che ci aveva condotti fin là. « Da questo balzo voi potrete osservare l’atteggiamento e l’aspetto di tutti questi spiriti, meglio che giù nella valle mescolandovi a loro. Colui che siede sovrastando gli altri principi e mostra nel suo atteggiamento d’aver trascurato il proprio dovere (di scendere in Italia), e che non partecipa al canto come gli altri, fu l’imperatore Rodolfo, il quale poteva sanare le piaghe che hanno distrutto l’Italia, cosicché troppo tardi per opera di un altro si tenterà di farla risorgere. Quell’altro, che nell’aspetto mostra di confortarlo, fu re nella terra (la Boemia) dove nascono le acque che la Moldava porta all’Elba, e l’Elba al mare: si chiamò Ottocaro, e fin da bambino superò di gran lunga suo figlio Venceslao che ora, nell’età virile, vive completamente immerso nella lussuria e nell’ozio. E quello dal piccolissimo naso, che sembra in segreto colloquio con quell’altro che ha un aspetto così mite, morì fuggendo e facendo sfiorire nel disonore il giglio (insegna della casa reale di Francia erano, infatti, tre gigli d’oro in campo azzurro). osservate là come si batte il petto! Guardate invece l’altro che ha appoggiato la guancia sulla palma della mano, sospirando malinconicamente. Sono il padre e il suocero del disonore di Francia (Filippo il Bello) : conoscono la sua vita piena di vizi e vergognosa, e da qui nasce il dolore che così profondamente li trafigge. Quello che appare così nerboruto e che canta in perfetto accordo con l’altro dal gran naso, fu rivestito e ornato da ogni virtù; e se gli fosse successo nel regno il giovinetto che qui siede dietro a lui, il retaggio della virtù si sarebbe egregiamente trasmesso di padre in figlio, mentre questo non si può affermare degli altri eredi: Giacomo e Federigo hanno ora i regni; ma nessuno dei due ha preso il meglio dell’eredità paterna (del retaggio miglior, cioè la virtù). Raramente la virtù dei padri ricompare nei figli; e questo è voluto da Dio che la dà, affinché la si riconosca derivata da Lui (da lui: e non ricevuta per eredità). Anche a Carlo d’Angiò, il Nasuto, sono dirette le mie parole, non meno che all’altro che canta con lui, Pietro, per la quale degenerazione la Puglia e la Provenza già si dolgono. La pianta (cioè il figlio Carlo II) è tanto inferiore al suo seme (cioè al padre Carlo I), quanto Costanza (vedova di Pietro III d’Aragona) ha motivo di vantarsi ancora di suo marito più di quanto abbiano motivo di vantarsi del loro Beatrice di Provenza e Margherita di Borgogna (prima e seconda moglie di Carlo I d’Angiò). Osservate invece là come siede appartato il re dalla vita semplice, Enrico d’Inghilterra: egli ha nei suoi discendenti un esito migliore. Quello fra loro che sta seduto più in basso, con lo sguardo rivolta verso il cielo, è il marchese Guglielmo, a causa del quale Alessandria e la sua guerra portano desolazione e pianto nel Monferrato e nel Canavese. »
Fonti: parafrasidivinacommedia.jimdo.com