Dopo che Costantino volse il vessillo dell’aquila romana [trasferendo l’impero da occidente in oriente] contro il giro regolare del cielo [da oriente in occidente] che l’aquila seguì in principio [venendo da Troia in Italia] dietro l’antico eroe, Enea, che tolse Lavinia a Turno, – l’uccello divino [l’aquila] si trattenne per più di duecento anni nell’estremo di Europa [in Bisanzio sul Bosforo], vicino ai monti della Troade dai quali si partì con Enea e lì successivamente governò il mondo sotto la sacra ombra delle sue ali e così, passando dalle mani di un imperatore in quelle di un altro, pervenne in mani mie. [E’ l’Imperatore Giustiniano che parla a Dante]. – Fui imperatore ed or sono soltanto Giustiniano che, per interno movimento dello Spirito Santo, che ora godo qui in cielo, da entro le leggi tolsi le cose soverchie e le parole inutili. E prima che io mi applicassi alla riforma delle leggi, credeva che in Cristo fosse soltanto la natura umana e riposava tranquillo in quella fede; ma il benedetto Agapito, che fu sommo pontefice, colle sue parole, mi indirizzò alla vera fede. Io gli credei ed ora vedo la verità delle sue parole così chiara ed evidente poiché, come tu comprendi, di due proposizioni contraddittorie, una deve esser vera ed una falsa. Tosto che presi il diritto cammino dietro alla Chiesa, piacque a Dio d’ispirarmi il gran lavoro [della riforma delle leggi] e mi dedicai tutto ad esso. Ed affidai le armi al mio Belisario [nipote di Giustiniano, uno dei più grandi capitani del suo secolo], alle quali fu così propizio l’aiuto del cielo, che io l’ebbi per segno esser volere di Dio ch’io mi stessi in riposo. Or qui ha termine la mia risposta alla prima domanda che mi facesti, ma la natura della risposta mi forza a dirti qualche altra cosa, affinché tu veda con quanto torto si muove contro il sacro vessillo dell’aquila imperiale e chi se lo appropria [il Ghibellino] e chi gli fa opposizione [il Guelfo]. Vedi quanta virtù degli eroi romani lo ha fatto degno di riverenza, e tal virtù cominciò da quel tempo in cui Pallante [mandato da suo padre Evandro in soccorso di Enea] morì in battaglia [contro Turno] per farlo regnare. Tu sai che il santo segno, per trecento anni e più fece sua dimora in Alba, fino a che pugnarono ancora per lui i tre e tre [gli Orazi e i Curiazi]. Tu sai quel che il segno [l’aquila] operò dal ratto delle Sabine fino alla dolorosa morte di Lucrezia, sotto il Governo dei sette re, vincendo intorno le genti vicine. Sai quel che fece quando fu portato dagli egregi romani incontro a Brenno [capitano dai Galli Senoni]; a Pirro [re dell’Epiro] e gli altri principi e governi repubblicani. Onde Torquato [Tito Manlio Torquato, capitano dei romani, proibì al proprio figlio di attaccar battaglia coi latini. Questo non lo ubbidì e vinse: Torquato, severo e leale, lo punì di morte] e Quinzio, che ebbe il nome di Cincinnato [virtuoso romano che visse lavorando i suoi campi: fu creato dittatore, trionfò e dopo sedici giorni rinunziò alla dittatura] dal crine incolto, e i Deci e i Fabi [membri di famiglie gloriose] ebbero la fama che io avevo. Esso [il segno santo] atterrò l’orgoglio degli Arabi [i Cartaginesi] i quali, seguendo Annibale, passarono le Alpi dalle quali tu, o fiume Po, discendi. – Sott’esso [segno] Scipione e Pompeo trionfarono giovinetti e il loro trionfo riuscì amaro agli abitatori di quel colle [Fiesole] sotto al quale tu nascesti [Firenze Patria di Dante]. Poi, poco prima del tempo in cui tutto il cielo volle ridurre il mondo sotto un governo pacifico, Giulio Cesare prese in mano esso segno per ordine del Senato e del popolo; – quel che poi fece dal fiume Varo [che in antico divideva la Gallia cisalpina dalla transalpina] fino al Reno, fu veduto dai fiumi Isara [Isère] ed Era [oggi Saóne] e fu veduto dalla Senna e da ogni fiumana, delle cui acque s’ingrossa il Rodano. L’impresa che poi fece il segno, quando Giulio Cesare uscì di Ravenna e passò il fiume Rubicone, fu di tanta celerità che né lingua né penna potrebbe seguirlo. – Rivolse gli eserciti di Cesare contro i pompeiani che erano nella Spagna, poi verso Durazzo [Città dell’Albania] e percosse talmente Farsaglia [in Tessaglia] che sino al caldo Nilo [in Egitto] si sentì il dolore di quella rotta. Rivide poi Antandro [città della Frigia Minore] e Simoenta [fiume che scorre verso Troia] donde si mosse [quando venne in Italia con Enea] e la terra dove Ettore giace sepolto, e poi si levò impetuoso con danno di Tolomeo [re d’Egitto]; – d’onde come folgore [questo segno] venne a Giuba [re della Mauritania che favoriva Pompeo], poi si rivolse all’occidente d’Italia dove sentiva la tromba dell’esercito pompeiano. – Bruto e Cassio nell’inferno, coi loro rabbiosi clamori, parlano di ciò che il segno dell’aquila fece con Ottaviano Augusto, e ne piangono ancora Modena e Perugia. Ne piange anche la triste Cleopatra [si uccise con due aspidi] la quale, fuggendo la vista dell’aquila, prese dal serpente la subitanea e feroce morte. Con Augusto corse sino al Mar Rosso [il segno dell’aquila]; con lui pose il mondo in tanta pace che fu serrato il tempio di Giano. Ma ciò che il vessillo del quale io parlo, aveva operato prima ed era per operare in seguito, per il regno temporale che è a lui sottoposto, appare esser poco e di nessuna gloria se si guarda con occhio illuminato e senza parzialità in mano al terzo imperatore [Tiberio]. – Poiché la viva giustizia di Dio, che m’ispira a muoverti queste parole, concedette [al vessillo] posto in mano a Tiberio, la gloria di soddisfare al giusto sdegno divino [Ponzio Pilato accondiscese che i Giudei uccidessero Gesù Cristo, e i soldati romani protessero l’iniqua esecuzione, onde sta bene che l’aquila romana, in mano di Tiberio, soddisfece alla vendetta di Dio nel sangue del suo figlio innocente]. Or qui meravigliati di questo, che con parole più chiare voglio replicarti: dopo ciò il vessillo dell’aquila corse con Tito a far vendetta del deicidio il quale, per parte di Dio, era stato una espiazione del nostro peccato antico. E quando il dente dei Longobardi straziò la Santa Chiesa, Carlo Magno, sotto le ali dell’aquila romana, soccorse la Chiesa con le sue conquiste. Ormai dal bene che ha operato l’aquila romana puoi giudicare di coloro che io accusai di sopra e delle loro colpe, le quali sono cagione di tutti i vostri mali. – L’uno [il Guelfo] oppone i gigli d’oro [cioè le armi di Carlo II, re di Puglia, della casa di Francia] alla insegna romana, e l’altro [il Ghibellino] la usurpa a pro del suo partito, sicché è difficile giudicare chi dei due commetta più grave errore. Facciano pure i ghibellini ogni tentativo di eseguire i loro disegni sotto altro stendardo, che mal si vanta seguace dell’aquila romana chi la fa strumento d’iniquità; e non pensi di abbatterlo [il segno dell’aquila] questo nuovo Carlo coi suoi Guelfi, ma tema delle forze dell’impero romano che abbatté i principi più forti di lui [Carlo]. Molte volte i figli pagarono il fio della colpa dei loro padri perciò non credo che Dio tramuti la sua aquila coi gigli [di Carlo]. – Questa piccola stella [di Mercurio] si adorna dei buoni spiriti che sono stati operosi, affinché resti dopo di loro onore e fama; e quando i nostri desideri si affissano qui declinando dal retto cammino, avviene di necessità che le fiamme del vero amore s’innalzino più deboli verso Dio. Ma nel misurare i nostri premi col nostro merito noi troviamo parte della nostra beatitudine, perché non li vediamo né maggiori né minori di quello [del merito]. Quindi la giustizia di Dio rende puro il nostro affetto, si che non si può mai torcere ad alcuna malvagità. Come diverse voci fanno dolce armonia di note, così diversi gradi di gloria, in questa vita beata, formano una perfetta convenienza colla divina giustizia. – E dentro a questo pianeta, lucida perla del secondo cielo, risplenda l’anima luminosa di Romeo [intende parlare di Romeo di Villanova, ministro di Raimondo Berlinghieri, al quale amministrò così bene gli interessi tanto da farli raddoppiare] la cui opera grande e bella fu mal gradita. Ma i Provenzali, che operarono contro di lui, non hanno riso [trovandosi sotto il fiero governo di Carlo d’Angiò dovettero ricordarsi il dolce governo dì Raimondo], e però va per mala via chi è invidioso del bene operare degli altri. Raimondo Berlinghieri ebbe quattro figlie e tutte e quattro regine, e questo bel collocamento delle figlie gli fu procurato da Romeo, uomo straniero e di umile condizione. – E poi le invidiose e maligne parole dei tristi mossero Raimondo a chiedere conto dell’amministrazione dei suoi stati a questo giusto che gli rimise il suo capitale aumentato del dodici per dieci. – Indi Romeo partì povero e vecchio, e se gli uomini sapessero la fortezza d’animo che Romeo serbò nel mendicare la sua vita a bocconi di pane, essi che tanto lo lodano, lo loderebbero assai più».
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