Il parlare non rallentava il cammino, né il camminare rendeva più lento il discorso; ma, pur conversando, andavamo speditamente, come una nave spinta da vento favorevole. E le ombre, che sembravano cose più che morte, (guardandomi) attraverso gli occhi infossati si meravigliavano di me, essendosi accorte che io ero ancora vivo. E io, continuando il mio discorso (interrotto alla fine del canto precedente), dissi: « Quell’anima (Stazio) sale al paradiso forse più lentamente di quanto non farebbe (se fosse sola), per amore di Virgilio. Ma se lo sai, dimmi dov’è tua sorella Piccarda (di lei Dante parlerà nel canto IIl del Paradiso, versi 34 sgg.) ; e dimmi se, tra questa gente che mi osserva in questo modo, posso vedere qualche persona degna di nota ». « Mia sorella, che non so se fosse più bella o più buona, è già trionfante in paradiso, lieta della sua corona di gloria. » Cosi disse prima Forese; poi soggiunse: « In questo girone non è proibito (anzi è necessario) indicare ciascuno per nome, dal momento che, per il digiuno, la nostra fisionomia è così consunta. Costui » e lo mostrò col dito « è Bonaggiunta, voglio dire Bonaggiunta da Lucca; e quello dietro a lui, con la faccia cosparsa di screpolature più di tutti gli altri, fu sposo della Santa Chiesa (ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia): fu di Tours, e col digiuno sconta le anguille del lago di Bolsena e la vernaccia ». Forese poi mi nominò a uno a uno molti altri; e tutti apparivano lieti di esser indicati col loro nome, tanto che per questo non vidi nessuno per disappunto rabbuiarsi in volto. Vidi Ubaldino della Pila muovere invano i denti per la fame e Bonifacio che, insignito del bastone pastorale, fu pastore di molte popolazioni. Vidi messer Marchese degli Argogliosi, che già ebbe agio di bere a Forlì con minor sete di qui, sebbene sia stato così grande bevitore da non sentirsi mai sazio. Ma come fa chi guarda più persone e poi mostra di stimare più l’una che l’altra, così feci io verso Bonaggiunta, che sembrava più degli altri desideroso di conoscermi. Egli parlava sottovoce: e io potevo percepire qualcosa come “Gentucca” dalla sua bocca dove egli sentiva più viva la tortura della fame e della sete che in tal modo li consuma. Io dissi: « O anima che sembri così desiderosa di parlare con me, parla in modo che io ti capisca, e parlandomi appaga il tuo e il mio desiderio ». Egli cominciò a dire: « È già nata una donna, che non porta ancora il velo maritale, la quale ti farà piacere la mia città, nonostante di essa si dica tanto male (come ch’uom la riprenda). E io gli risposi: « Io sono semplicemente uno (fra gli altri) che, quando avverto che l”amore mi parla, attentamente prendo nota, e cerco di esprimere fedelmente con le parole (vo significando) quello che esso detta dentro di me ». Egli disse: « O fratello, ora finalmente conosco l’impedimento che tenne il notaio Giacomo da Lentini e Guittone d’Arezzo e me al di fuori del dolce stiI novo, che ora mi spiego. Ora vedo bene come le vostre penne seguono con stretta fedeltà l’amore che detta, il che non accadde certamente alle nostre; e chiunque si metta a considerare ancor più attentamente, tra l’uno e l’altro stile (il nostro e il vostro) non vede altra differenza oltre quella che abbiamo detto (quella cioè relativa all’argomento d’amore e alla sincerità dell’ispirazione)»; e tacque, come appagato. Come gli uccelli (le gru) che svernano lungo il Nilo, talvolta formano in aria una schiera, poi volando più in fretta si dispongono in fila, così tutta la gente che era lì attorno a noi, volgendo gli occhi in direzione del cammino, affrettò il suo passo, resa agile dalla magrezza e dal desiderio di espiare. E come chi, stanco di correre, lascia andare i compagni, e così riprende il passo normale finché si calmi l’ansimare del petto, così Forese lasciò andar oltre quella santa schiera, e procedeva dietro con me, dicendo: « Quando avverrà che ti riveda?» Gli risposi: « Non so per quanto tempo vivrò ancora; ma certo il mio ritorno qui non sarà così prossimo, che io non anticipi prima col desiderio la mia venuta alla riva del purgatorio, perché il luogo (Firenze) dove fui posto a vivere, ogni giorno più s’impoverisce d’ogni virtù, e appare avviato verso una miseranda rovina ». « Orsù, fatti animo » egli disse, «perché io vedo il maggior colpevole trascinato dalla coda d’un cavallo verso la valle (l’inferno) dove le colpe non vengono mai rimesse. La bestia che lo trascina accelera la corsa ad ogni passo, e la sua velocità cresce sempre, finché lo percuote, e lascia il cadavere ignominiosamente sfigurato. Non dovranno girare a lungo quelle sfere (cioè: non passeranno molti anni) », e alzò gli occhi al cielo, « prima che ti sarà manifesto quello che le mie parole non possono dire più chiaramente. Ormai resta pure indietro; perché il tempo è prezioso in questo regno, e io ne perdo troppo procedendo così al passo con te ». Come talvolta da una schiera di soldati a cavallo esce al galoppo un cavaliere, e corre per avere l’onore del primo scontro col nemico, allo stesso modo si allontanò da noi Forese con passi più lunghi dei nostri; e io restai per via insieme con i due poeti, che furono così grandi maestri dell’umanità. E quando Forese si fu allontanato davanti a noi, tanto che i miei occhi lo seguirono a stento, così come a stento la mia mente aveva seguito le sue oscure parole profetiche, mi apparvero carichi di frutti e verdi di fogliame i rami d’un altro albero, e non molto lontani da me, essendomi io solo allora voltato verso quella parte. Sotto l’albero vidi della gente alzare le mani, e gridare non so che cosa verso le fronde, quasi fossero bambinetti golosi e ingenui, che pregano mentre colui che è pregato non risponde, ma tiene alto l’oggetto da essi desiderato e non lo nasconde, per rendere sempre più viva la loro brama. Poi quella gente si allontanò come disingannata; e noi ci avvicinammo subito al grande albero, che rifiuta di esaudire tante preghiere e lagrime. «Passate oltre senza avvicinarvi: più in alto (nel paradiso terrestre) vi è un altro albero il cui frutto fu gustato da Eva, e quest’albero derivò da quello. » Così parlava una voce nascosta tra le fronde; per questo Virgilio, Stazio ed io, tenendoci stretti, procedevamo lungo la parete del monte. Diceva: « Ricordatevi dei maledetti Centauri, figli della nuvola, che, ebbri, combatterono contro Teseo con i loro petti umani ed equini; e degli Ebrei che si mostrarono ingordi nel bere, e per questo Gedeone non li volle come compagni, quando discese dai monti contro i Madianiti ». Cosi accostati a uno dei due orli della cornice passammo oltre, udendo ricordare esempi di golosità, seguiti sempre da tristi castighi. Poi, distanziati un po’ l’uno daIl’altro nella strada deserta, procedemmo oltre di ben mille passi e più, ciascuno meditando in silenzio. Una voce improvvisa ci disse: « Che cosa state pensando voi tre così solitari?»; perciò io mi scossi come fanno le bestie giovani quando vengono spaventate. Alzai il capo per veder chi fosse (colui che aveva parlato); e mai furono visti in una fornace vetri o metalli cosi fulgenti e incandescenti, com’era l’angelo che io vidi mentre diceva: « Se gradite salire, è necessario svoltare qui; da questa parte va chi vuole andare verso la pace del cielo ». Il suo aspetto mi aveva abbagliato la vista; e per questo io voltai (a sinistra) dietro ai miei due maestri, come un cieco che cammina seguendo la voce che ode. E quale il venticello di maggio, che annuncia il prossimo albeggiare, si leva ed è olezzante, perché tutto impregnato del profumo dell’erba e dei fiori, tale fu il vento che sentii colpirmi in mezzo alla fronte, e sentii distintamente muoversi l’ala, la quale fece sì che l’aria odorasse d’ambrosia. E udii dire: « Beati quelli ai quali splende tanta grazia, che il piacere della gola non eccita nel loro petto un desiderio eccessivo, provando sempre fame soltanto della giustizia! »
Fonti: parafrasidivinacommedia.jimdo.com