Le figure femminili che simboleggiano le sette virtù invitano Dante a distogliere il suo sguardo da Beatrice per volgerlo alla processione, la quale, in questo momento, riprende a muoversi in direzione opposta rispetto a quella prima seguita; finché tutti i suoi membri si fermano intorno a un albero altissimo e spoglio di fronde. Dopo che il grifone vi ha legato il suo carro, la pianta rinasce a nuova vita, coprendosi di fiori e di foglie. Il canto dolcissimo innalzato dai personaggi del corteo provoca in Dante una specie di tramortimento, e, quando si risveglia, Matelda gli indica Beatrice che siede sotto l’albero circondata dalle sette virtù, mentre i ventiquattro seniori, il grifone e gli altri componenti del corteo risalgono al cielo. La seconda parte del canto è occupata dalla rappresentazione delle vicende del carro della Chiesa attraverso successive allegorie. Dante ricorda – con la figura dell’aquila – le persecuzioni portate contro i primi cristiani e con l’immagine della volpe il diffondersi delle eresie; in un secondo tempo l’aquila – simbolo dell’Impero – ritorna e lascia sul carro una parte delle sue penne, per indicare il potere temporale di cui fu investita la Chiesa dopo la donazione territoriale fatta dall’imperatore Costantino a papa Silvestro. Poi un drago, che rappresenta Satana, esce improvvisamente dalla terra e, dopo aver colpito con la coda maligna il carro, si allontana pieno di soddisfazione. L’immagine della Chiesa si trasforma infine in una figura mostruosa, dotata di sette teste e dieci corna: su di lei siede una sfrontata meretrice, a fianco della quale compare un gigante, che flagella ferocemente la donna subito dopo che questa ha volto il suo sguardo verso Dante. Il canto termina mostrando il gigante che stacca dall’albero il carro della Chiesa per trascinarlo nella selva.
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