Don Abbondio passa una notte agitata tra ricerche di scuse per non celebrare il matrimonio e incubi popolati di bravi e di agguati. Tra il sogno e la veglia egli elabora un piano per superare le prevedibili obiezioni di Renzo e ritardare così le nozze. Renzo si reca da don Abbondio che finge di non ricordarsi del matrimonio, poi, utilizzando termini latini per confondere il giovane, lascia intendere che sono sopravvenuti degli impedimenti che obbligano a ritardare le nozze. Renzo accondiscende allo spostamento, ma rimane insospettito dal comportamento del parroco. Renzo si dirige allora verso casa di Lucia, ma, parlando con Perpetua, riceve conferma dei propri sospetti e capisce che don Abbondio è stato minacciato da qualcuno. Renzo torna velocemente da don Abbondio e dopo aver imprigionato il parroco nel suo stesso salotto, il giovane lo costringe a dirgli la verità. Perpetua rientra e don Abbondio l’accusa di aver infranto il giuramento del silenzio fatto la sera prima, dopo un acceso battibecco tra i due, don Abbondio si mette a letto vinto dalla febbre. Renzo si dirige nuovamente verso casa di Lucia, nella sua mente passano fieri propositi di vendetta, ma al pensiero di Lucia abbandona ogni ipotesi violenta. Giunto nel cortile della casa di Lucia, Renzo incarica una bambina di chiamare in disparte Lucia e di condurla da lui. Lucia scende al piano terreno e Renzo la mette al corrente dell’accaduto; Lucia mostra di essere al corrente della passione di don Rodrigo per lei: Ai due si aggiunge poi Agnese, la madre di Lucia, curiosa di sapere che cosa stessero dicendo i due giovani. Lucia sale a congedare le donne dicendo che il matrimonio è rimandato a causa di una malattia del parroco. Alcune donne si recano allora alla canonica per chiedere conferma della malattia del curato e Perpetua dice loro che don Abbondio ha un febbrone.
Punti principali sul secondo capitolo dei promessi sposi
A) I caratteri della formazione manzoniana
L’arte del M. è sempre il risultato della fusione e della coesistenza di due complesse vene: quella romantica e quella illuministica. La prima comporta il suo severo senso etico, una forte aspirazione alla libertà nazionale, il profondo senso religioso della vita, e quello della fede. La seconda, invece, presuppone la sua intelligenza aristocratica, capace di guardare dall’alto e in modo astratto alle cose della realtà, con un istintivo senso di superiorità, procurato da una ricca formazione classica e da tutto il sostrato culturale delle due famiglie di appartenenza, quella dei conti Manzoni e quella dei Beccaria-Verri.
Questo è un altro assunto fondamentale per comprendere appieno la grande complessità dell’arte manzoniana: le due vene si compenetrano, una arricchendo l’altra: quello che permette tale unificazione è proprio l’arte, la sapienza narrativa, che permette, attraverso il senso della realtà, l’ironia, la comicità, la potenza dell’elemento fantastico, di esprimere compiutamente la vena sentimentale che lega il M. ai valori nazionali e religiosi.
Se nel I° cap. il M. muoveva, come abbiamo visto, da precisi intenti polemici, ed iniziava subito ad affermare i nuclei incandescenti della propria “ideologia”, nel II°, invece, egli ama soffermarsi sui personaggi da lui creati.
B) La presentazione dei protagonisti
a) Renzo: Il cap. II° è senz’altro il capitolo di Renzo. Il protagonista maschile del romanzo ci è presentato qui per la prima volta. L’approccio del M. a questo suo personaggio è sicuramente di tipo folcloristico: Renzo campeggia nel capitolo in lungo e in largo, attraverso tre precisi momenti:
1) la gioia del giovane ventenne montanaro che corona il suo sogno d’amore;
2) la cautela di chi si sente ingannato e vuole scoprire il perché;
3) l’ira furibonda e la cocente disperazione dell’impotenza di fronte ad un torto subìto.
Parallelamente, abbiamo tre importanti dialoghi, attraverso cui Renzo ci viene presentato nelle fasi successive: ne emergono i tratti principali, quelli di un giovane di buoni sentimenti, anche profondi, accomodante quando è possibile, ma anche pronto all’ira e alla malizia, quando gli vengano negati i valori fondamentali a cui ha giustamente diritto. I tre dialoghi hanno rese stilistiche diverse, a seconda delle situazioni che si verificano: il primo è rotto e discontinuo, il secondo più cauto ed accorto, il terzo, decisamente drammatico, con la involontaria minaccia a Don Abbondio.
b) Lucia: Prima del rapido scambio di parole, con cui Renzo dà alla promessa notizia del necessario rinvio delle nozze, il narratore può presentare la sua protagonista femminile. La presentazione risponde senza dubbio allo stesso gusto folclorico che abbiamo notato per R. (folclorico=attenzione al gusto e al colore locali). Ma, due sono gli elementi che vanno evidenziati in questa seconda macrosequenza del capitolo: il breve dialogo fra i promessi, e la reazione di Lucia all’annuncio del rinvio. Lucia è qui già presentata sì come una figura femminile caratterizzata da un grandissimo pudore (tratti che spesso l’hanno allontanata nella comprensione da lettori abituati a tipi femminili del tutto diversi), e da una grandissima riservatezza; tuttavia, deve risultare chiaro che il M. ci presenta fin dall’inizio Lucia come una figura dalla grande forza interiore, che le consente, qui soprattutto, di assumersi le sue responsabilità di donna di fronte a questa prova inaspettata, ed a congedare le amiche e conoscenti del paese, annunciando loro la nuova del rinvio del matrimonio. Una situazione in cui una ragazzetta sentimentale di certo romanticismo deteriore non avrebbe certo mancato di svenire. D’altronde, è già contenuto in questo capitolo, sebbene in nuce, il tema fondamentale che più avanti ritroveremo: Lucia è dispensatrice di grazia: è proprio l’affacciarsi di lei alla sua mente che ha già distolto Renzo, in preda alla disperazione impotente che dicevamo, dal pensiero innominabile dell’omicidio e della vendetta sanguinaria. Ella non ha bisogno di affidare ad un compiuto discorso i motivi del suo silenzio sul torto subìto da don Rodrigo. Basta un “Ah, Renzo!”, per esprimere cripticamente tutto il suo senso della convenienza, della serietà e riflessività che la animano: una straordinaria ricchezza d’animo, insomma.
C) Puntualizzazioni sulle figure di Don Abbondio e di Perpetua
Don Abbondio cerca qui di giocare tutte le carte in suo possesso per imbrogliare la situazione il più possibile allo scopo di mantenere nascosta la vera ragione del rinvio. Possiamo dunque dedurne che egli, già ampiamente dimostratosi vile nel capitolo precedente, ora ci appare anche ipocrita: perfetto figlio del suo secolo, non già della vocazione sacra cui è chiamato dal suo ministero. Tuttavia il M. evita di giocare la carte della condanna totale del vile curato: alla fine del capitolo, egli è ridotto ad una macchietta meccanica; in questo modo la sua figura scivola nel comico, cosa che consente al M., in questa come in numerose altre situazioni del romanzo, a sfumare nel sorriso e nel distacco comprensivo fatti e parole che comporterebbero una condanna morale inesorabile, e la definitiva antipatia del lettore per questo personaggio.
Perpetua, dal canto suo, ci appare come una serva padrona animata dalla volontà di intervenire in modo attivo sulle faccende del mondo, a animata da una certa saccenteria popolana e da un certo orgoglio. Tutto ciò è visibile nel colloquio con Renzo, dove ella lascia intendere di sapere qualcosa, e esalta a dismisura il suo ruolo di onnipotenza in relazione alla disperazione di Renzo.
Potremmo concludere questa introduzione al secondo capitolo dicendo che, pur mostrando solo le avvisaglie delle prove ben più impegnative che il narratore affronterà in seguito, abbiamo qui un forte interesse narrativo, all’intreccio delle sequenze e all’approfondimento ‘in variazione’ alla psicologia dei personaggi. Un capitolo meno “impegnato”, insomma, dei precedenti, ma caratterizzato da un suo nitore proprio perché vi si profonde l’ineguagliabile amore del M. per la narrazione.