Un’invettiva contro la lupa, simbolo dell’avarizia, caratterizza l’esordio del canto: a essa fa eco la voce di un’anima che celebra tre esempi famosi di povertà e di liberalità: quello del parto di Maria in una stalla, quello del console romano Caio Fabrizio Luscino e quello di San Nicola, vescovo di Bari. Incuriosito, Dante si rivolge allo spirito che ha parlato chiedendogli chi esso sia e il motivo per cui, solo, pronunci quelle lodi. L’anima si fa allora riconoscere come Ugo Capeto, re di Francia, fondatore della dinastia capetingia: dalle sue labbra escono un’aspra requisitoria contro la sua stirpe e una profezia relativa ai misfatti di Carlo di Valois, di Carlo III d’Angiò e di Filippo il Bello. Dopodiché lo spirito passa a rispondere al secondo quesito di Dante illustrando le consuetudini di quella quinta cornice e citando esempi di avarizia puniti: quelli di Pigmalione, di Mida, di Acan, di Saffira, di Eliodoro, di Polinestore e di Licinio Crasso. I due pellegrini, che hanno ripreso il cammino al termine delle parole di Ugo, all’improvviso sentono il monte tremare: tutte le anime intonano all’unisono l’inno di gloria a Dio fin quando il terremoto non cessa. Dante, incerto sulla natura e sulle cause di quel subitaneo fenomeno, prosegue al fianco di Virgilio, ma assillato da dubbi che tuttavia non osa dichiarare.
Fonti: italica.rai.it