Al termine del suo discorso Virgilio guarda Dante per vedere se ha ben compreso e si accorge, sebbene il poeta abbia timore a confessarlo, che costui è tormentato da un dubbio. Esso riguarda la natura dell’amore e provoca una risposta solo un poco meno dottrinale rispetto a quella del canto precedente. La luna offusca con il suo splendore le stelle, e Dante, pago della spiegazione del maestro, è colto nelle membra da un senso di torpore. Ma ne vien subito scosso dal sopraggiungere in corsa impetuosa delle anime degli accidiosi che gridano esempi di sollecitudine: la visita di Maria a Elisabetta e il passaggio di Cesare in Spagna, durante la guerra civile. L’anima di un abate di San Zeno in Verona, vissuto ai tempi del Barbarossa e della distruzione di Milano, indica a Virgilio il varco per salire al girone successivo: costui corre via velocemente, ma Dante si compiace di riportare, tra le parole da esso pronunciate, quelle particolarmente offensive sul figlio di un certo Alberto della Scala. Virgilio a questo punto richiama l’attenzione di Dante su due anime che, a monito delle altre, ricordano due esempi di accidia puniti: quello degli Ebrei che per fiacchezza non raggiunsero la Terra Promessa e quello dei compagni di Enea che, spaventati dal viaggio, preferirono restare in Sicilia. Allontanatesi quelle ombre, Dante si addormenta.
Fonti: italica.rai.it