Tosto che la benedetta anima risplendente prese a dire l’ultima parola, il drappello di quei beati spiriti danzanti in giro, cominciò a rotare; e non ebbe compiuto un intero giro, che un’altra corona di beati lo circondò ed accordò il moto ed il canto al moto e al canto della prima corona; canto che, articolato nei dolci organi di quelle anime beate, supera tanto quello dei nostri poeti e delle nostre cantatrici, quanto il primo raggio diretto supera il secondo raggio riflesso. Come quando Giunone comanda ad Iride sua ancella [l’arcobaleno], due archi paralleli e dei medesimi colori si volgono entro ad una nube leggera, producendosi, per riflessione di raggi, l’arco di fuori dall’altro arco minore concentrico, come per riflessione di voce formarsi il parlare di quella vaga ninfa [eco] che, per amore di Narciso, si disfece come i vapori ai raggi del sole; ed essi [gli arcobaleni] fanno presagire la gente circa il mondo che non sarà più allagato dal diluvio: così quegli eterni splendori che, a somiglianza di due ghirlande di rose, erano ordinati, si volgevano intorno a noi e per ugual modo la corona esteriore dei beati spiriti corrispose al moto e al canto della corona interna. Poiché la lieta danza e l’altra gran festa così del cantare come del risplendere a gara l’una luce in vista dell’altra, piene tutte di gaudio e di dolcezza, tutte insieme ad uno stesso punto e per loro unanime volontà, si fermarono precisamente come gli occhi, che per istinto si chiudono e si aprono simultaneamente, secondo il piacere che li muove; dall’interno di una di quelle luci nuovamente apparse, si mosse una voce, la quale facendomi rivolgere al luogo ove ella stava, fece sì che io paressi l’ago della calamita, che si volge subito alla stella polare; e cominciò: «Il divino amore che mi fa splendere di bella luce, mi spinge a ragionare dell’altro condottiero [S. Domenico] per esaltare il merito del quale si parla qui così bene del mio patriarca [S. Francesco]. – E’ giusto che dove si fa menzione dell’uno si faccia menzione anche dell’altro, sicché come essi unitamente e a un medesimo fine militarono così la gloria dell’uno e dell’altro risplende insieme. – L’esercito di Cristo [il popolo cristiano] che, a riamarlo contro il demonio, dopo la grazia perduta per il peccato, costò sì caro, si muoveva dietro alla croce, poco unito, in piccolo numero e dubbioso nella fede e con freddezza; quando l’imperatore che regna eternamente [Dio] provvide al popolo cristiano, che era in pericolo di essere vinto dalle potenze infernali, e provvide non perché ne fosse degno, ma per la sua grazia e misericordia; e, come si è detto, soccorse la sua sposa con due campioni al cui esempio, così nelle opere che nelle parole, il popolo traviato si ravvide del suo errore. – Dalla parte di occidente, d’onde zefiro, venticello di tramontana, viene a smuovere le novelle fronde delle quali si vede rivestire, l’Europa, non molto lungi dai lidi ove si frangono le onde dell’Oceano, dietro le quali il sole, quando la sua corsa è più lunga e focosa [nel solstizio d’estate] si occulta a tutti gli abitanti della terra [tramonta], è situata la fortunata Callaroga [città della Spagna, patria di S. Domenico] sotto la protezione del re [di Castiglia] nella cui armi il leone da una parte sottostà a un castello e dall’altra sovrasta ad un altro castello. Dentro [a Callaroga] nacque il campione innamorato della fede cristiana, il santo propugnatore, di carità verso gli amici della fede, e crudele coi nemici di lei; e appena la sua mente fu creata, fu ripiena di così viva virtù che, mentre era nell’utero della madre, fece la madre stessa profetessa. [Sognò di partorire un cane bianco e nero con una fiaccola accesa in bocca]. – Poiché lo sposalizio fra lui e la fede fu compiuto al sacro fonte battesimale, dove si dotarono di scambievoli promesse per la reciproca salvezza; la donna [la comare] che diede l’assenso in nome di lui, vide in sogno un mirabile frutto che doveva uscire da lui e dai suoi eredi [dai futuri domenicani]: ed affinché anche nella composizione del nome, fosse quel che era realmente in sé stesso, partì dal paradiso un’ispirazione a nominarlo col possessivo del Signore di cui egli era tutto [Dominicus è l’aggettivo possessivo di Dominus]. Fu chiamato Domenico: ed io ne parlo come dell’agricoltore che Cristo elesse per aiutarlo a coltivare il suo orto. Ben si mostrò messaggero ed Apostolo di Cristo, perché il primo affetto che in lui si manifestò, fu verso il primo consiglio dato da Cristo. Spesse volte fu trovato dalla sua nutrice starsene a terra tacito e vigilante come se dicesse: io sono venuto per dare esempio di umiltà e di povertà. – O padre suo veramente felice! o madre sua veramente Giovanna, se tal nome ha il significato che gli si attribuisce [apportatrice di grazia]. In poco tempo si addottrinò molto nelle scienze non per acquistare i beni mondani, pei quali si corre ora con affanno dietro alle opere del cardinale Ostiense [Enrico di Susa] e di Taddeo [medico fiorentino di gran reputazione], ma per amore della verità salutare dell’Evangelo, talché si mise a percorrere intorno alla vigna [la Chiesa] la quale tosto perde il verde e si secca se il vignaiolo è un traditore. Ed alla sede pontificia, che già fu benigna ai poveri giusti più di quello che ora è, non per colpa di lei, ma di colui che siede sopra e traligna, – non domandò di poter largire in uso pio solamente due o tre per compensare l’usurpazione di sei, non domandò di esser collocato nel primo beneficio vacante, non domandò le decime che sono dei poveri del signore, ma domandò licenza di combattere contro gli errori del mondo per la difesa della fede, dalla quale, come da semenza, germogliarono i ventiquattro beati spiriti delle due corone che ci circondano. – Poi, pieno di dottrina e di santa risoluzione, con l’autorità delegatagli dal sommo pontefice, si mosse quasi torrente che sgorga da copiosa vena; – e l’impeto suo si slanciò sui maligni sterpi dell’eresia con più veemenza ove trovava più valide resistenze. Da lui poscia derivarono diversi rivi onde s’innaffia l’orto della Chiesa cattolica, così che i suoi arboscelli sono più vegeti e rigogliosi. Se tal fu l’una delle due ruote del carro sul quale la santa Chiesa si difese degli assalti dei suoi nemici e, vinse in campo la sua guerra civile, ben ti dovrebbe ormai esser manifesta l’eccellenza dell’altra ruota [di S. Francesco] di cui Tommaso, prima che io ti apparissi, fu sì cortese lodatore. Ma la strada ove sono le vestigia che vi lasciò insieme la parte somma della circonferenza della ruota [S. Francesco], è abbandonata: cosicché il male è dove prima era il bene. La sua famiglia religiosa che cominciò a camminare per la diritta via, ponendo i piedi sulle orme di lui, è ora tanto stravolta che pone il davanti del piede dove S. Francesco aveva il calcagno [va a rovescio]; e ben presto si vedrà della sua mala coltura dalla triste raccolta che farà quando la zizzania si lagnerà che le sia negato il granaio. Questo io affermo: chi esaminasse uno per uno i fogli del nostro volume [i frati del nostro ordine] vi troverebbe ancora qualche pagina [qualche frate] ove si vedrebbe scritto: «Io vivo ancora secondo la purità dei primitivi costumi»; ma costui non sarà certamente né da Casale [frate Ubertino da Casale] né d’Acquasparta [Matteo], dai quali luoghi vengono tali alla regola scritta da S. Francesco, che uno ne fugge il rigore e l’altro lo accresce a dismisura. Io sono l’anima di Bonaventura da Bagnoregio che nei grandi uffici posposi sempre la cura temporale alla spirituale. Qui sono sempre Illiminato ed Agostino [i due primi seguaci di S. Francesco] che furono dei primi poveri scalzi, i quali cinti dal cordone francescano divennero accetti a Dio. Sono ancora con essi Ugo da S. Vettore [illustre teologo], Pietro Mangiadore [autore d’una storia ecclesiastica], Pietro Ispano [filosofo] la cui fama nel mondo splende in dodici libri di logica da lui scrítti; e Natan, [profeta], e Crisostomo il metropolitano [Arcivescovo di Costantinopoli] ed Anselmo [arcivescovo di Conturbia in Inghilterra] e quel Donato che si degnò di por mano al primo insegnamento grammaticale. – E’ qui pure Rabano [rinomato scrittore del secolo nono] e questi che risplende al mio fianco è il calabrese abate Gioacchino, dotato di spirito profetico. – L’amorevole cortesia di fra Tommaso e il suo giudizioso e ben pensato parlare, mi mossero a proseguire con una nobile e santa invidia la lode del grande eroe [S. Domenico]; – e mosse meco tutti questi miei compagni».
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