Nel canto XXIX Dante espone, per mezzo di Beatrice, i problemi principali riguardanti le gerarchie angeliche: dove, quando, come furono creati gli angeli; quando e perché avvenne la ribellione di alcuni di essi; quale fu il premio per quelli rimasti fedeli; per quale motivo sbagliano quei pensatori che attribuiscono alle creature angeliche le tre facoltà umane dell’intelligenza, volontà e memoria; il numero sterminato degli angeli e la diversa intensità con la quale godono la visione diretta di Dio. A Dante interessa soprattutto mettere in rilievo che la creazione degli angeli fu un atto gratuito dell’amore divino, che volle estrinsecarsi in altri esseri, e che le intelligenze angeliche, i cieli e la materia prima furono creati da Dio istantaneamente e simultaneamente. a proposito delle facoltà umane attribuite agli angeli, il discorso di Beatrice diventa polemico e le sue parole raggiungono un tono particolarmente aspro e duro. I cattivi predicatori del Vangelo, che hanno sostituito alle verità della fede cristiana le loro inutili ciance, sono rappresentati attraverso la grottesca figura del frate che predica dal pulpito con motti e con iscede, mentre il diavolo si annida nel bacchetto del suo cappuccio. Il canto si chiude con la visione di Dio che, pur rispecchiandosi in migliaia di creature angeliche, conserva la sua eterna unità.
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