Le anime dei giusti, raccolte nella maestosa figura dell’aquila, ricordano d’aver meritato la gloria dei cieli per aver osservato sulla terra la giustizia e la misericordia, la quale è complemento indispensabile della giustizia. A loro Dante chiede la spiegazione di un tormentoso dubbio, presente in lui da lungo tempo e riguardante il mistero della predestinazione. L’aquila dichiara, innanzitutto, l’imperscrutabilità dei decreti divini: nessuna intelligenza umana potrà mai penetrare il mistero della sapienza e della giustizia di Dio. Poi risponde alle domande che più frequentemente gli uomini si pongono intorno alla predestinazione: perché sono condannati alla dannazione coloro che, non per colpa propria, non hanno mai conosciuto la fede e sono morti senza battesimo? La risposta è una sola: Dio, sommo Bene, non può volere il male e l’ingiustizia. Gli uomini devono essere paghi di questa verità: tutto ciò che Dio decide avviene secondo giustizia e amore: è più facile che entri nel regno dei cieli un pagano che visse secondo le leggi di natura e secondo i dettami della ragione che non un cristiano il quale non ubbidì ai comandamenti della sua fede. Nell’ultima parte del canto il Poeta leva una dura invettiva contro i malvagi reggitori d’Europa. Nel giorno del Giudizio Universale la loro disonestà e la loro corruzione appariranno scritte a piene lettere nel libro della giustizia divina.
Guarda Anche
Riassunto – Canto 1° – Purgatorio – Divina Commedia
All’invocazione alle Muse, che occupa i primi dodici versi del canto, segue la ripresa del ...