La benigna volontà nella quale si fa conoscere la perfetta carità, in quel modo che in una maligna volontà si palesa la cupidità, questa buona volontà fece tacere il canto di quella croce luminosa e fece cessare il suono di quelle sante corde le quali la destra di Dio, queste allentando e quelle tirando, contempera ad una divina armonia. Come saranno sordi alle mie giuste preghiere, quegli spiriti beati i quali furono concordi a tacere per invogliarmi a pregarli? Ben è giusto che sia tormentato per sempre chi per amore di cosa che non dura eterna, si dimentica di quella carità! Quale per i sereni, tranquilli e puri notturni scorre ad ora ad ora un fuoco scintillante facendo muovere per subita scossa gli occhi che se ne stavano divagati a loro agio, e sembra stella che passi da uno in altro luogo, se non che dalla parte donde si scorge partirsi quel fuoco, nessuna stella viene a mancare in cielo, e dopo breve durata si spegne; tale uno degli spiriti lucenti di quella risplendente costellazione corse dal braccio destro della croce, al piede di essa; né quello spirito, nel suo muoversi, si partì dalla croce, ma trascorse entro alla striscia lucente in modo che parve scorrere in un fuoco vivo dietro ad una trasparente lamina di alabastro. Con pari affetto si mosse l’ombra di Anchise, quando nei campi Elisi si accorse del figliuolo, se merita fede il maggior poeta epico dell’Italia [Virgilio, En., lib.VI]. «O sangue mio, o divina grazia in te sovrabbondante! A chi fu mai, come sarà a te, dischiusa due volte la porta, del cielo?» Così parlò quel lume, onde io rivolsi a lui la mia attenzione; poscia rivolsi lo sguardo alla mia donna e dalla parte di quel lume restai stupefatto; perché dentro agli occhi di Beatrice sfavillava un tal riso che io credei di esser giunto con i miei occhi e veder l’ultimo termine della grazia divina e dalla beatitudine a me destinata. Indi lo spirito giocondo a vedersi ed a udirsi aggiunse al principio del mio parlare tali cose che io non intesi, tanta fu la profondità del suo parlare. Né il parlare mi si rese misterioso per sua libera elezione, ma per necessità, poiché il suo concetto si fece superiore alla nostra mortale intelligenza. E quando l’intensità dell’ardente affetto si fu cosi sfogato che il suo parlare si fece meno profondo e più adatto alla capacità dell’intelletto umano, la prima cosa che io intesi fu: «Sii benedetto, o Dio, tre ed uno, che verso la mia prosapia sei tanto cortese». E proseguì: «Tu, o figlio, mercé quella Donna che ti diede forza e valore a salire quassù, hai fatto cessare in me, che sono dentro a questo splendore, un grato e lungo desiderio, che si è in me eccitato leggendo il tuo venire nel gran volume divino, in cui non si mutano né le pagine bianche né le scritte. Tu credi che il tuo pensiero passi a me dal primo pensiero creatore, al modo stesso che dalla unità una volta conosciuta risulta il cinque ed il sei ed ogni altro numero. E però non mi domandi chi io sia e perché sembri a te più pieno di gaudio che alcun altro di questa turba festante. Quel che tu credi è vero, perché gli spiriti tanto di maggiore come di minor grado di gloria in questa vita beata guardano in Dio in cui, prima che tu pensi, fai manifesto il tuo pensiero. Ma affinché quell’ardente carità, onde io sempre veglio guardando in Dio, e che m’empie di dolce desiderio verso di te, sia meglio soddisfatta, la tua voce sicura e fidente manifesti il tuo volere e il tuo desiderio, al quale è già preparata la mia risposta ». Io mi rivolsi a Beatrice ed essa, prima che io parlassi, m’intese e con volto ridente mi fece un cenno di approvazione che fece più pronta ed animosa la mia voglia; poi cominciai così: «Il sentimento dell’animo e l’attitudine a bene esprimerlo, si fecero in ciascuno di voi di un medesimo valore, appena che Iddio vi si rese visibile per mezzo della luce sua beata. – Perché in voi il sentire e il sapere, davanti al sole che vi illuminò ed infiammò colla sua luce e col suo calore, sono così uguali che ogni paragone per dimostrare tanta eguaglianza, è insufficiente. Ma la facoltà di volere e quella di sapere e poter fare, non volano del pari per la ragione che voi ben conoscete. Onde io, che sono uomo mortale, mi sento ancora in questa disuguaglianza e perciò non ringrazio se non col cuore la festa che tu mi hai fatto con affetto paterno. Ben supplico te, o vivo topazio che ingemmi questa croce, perché tu appaghi il mio ardente desiderio svelandomi il tuo nome». Egli, rispondendo, così diede principio a parlare: «O mio discendente, in che io mi compiacqui anche aspettando, io fui il tuo autore». Poscia mi disse: «Colui dal quale la tua prosapia ha preso il cognome degli Alighieri e che per cento e più anni ha girato il monte del purgatorio nel primo cerchio [ove sono puniti i superbi] fu mio figliuolo e tuo bisavolo; egli è ben giusto che tu, con le tue opere pie fatte in suffragio di lui, gli accorci la lunga ed affannosa pena che deve sostenere. Fiorenza, mentre fu nel circuito delle antiche mura, donde ella prende ancora le ore di terza e di nona, stava in pace, sobria e pudica. Non aveva collane, non corone preziose non donne calzate di contigie [specie di calze solate di cuoio], non cinture che dessero nell’occhio e traessero gli sguardi altrui più che la personastessa. La figlia, nascendo, non faceva ancora paura al padre, perché il tempo e la dote non uscivano né per troppo né per poco dalla giusta misura. Firenze allora non aveva case vuote di famiglia; non vi era ancora giunto Sardanapalo [ultimo re degli Assiri, uomo dato a tutte le libidini] a mostrar ciò che si può fare in camera. La veduta di Montemalo [o Montemario, cioè la veduta di Roma] non era ancora superata dalla veduta del vostro Uccellatoio [monte prossimo a Firenze dal quale si gode la prospettiva della città], la quale. come nel suo ingrandimento vince quel di Roma, così la vincerà nel suo deperimento. Io vidi Bellincion Berti [fu dei Ravignani, di nobile famiglia fiorentina e padre della famosa Gualdrada] andar colla cintura di cuoio e colla fibbia d’osso, e vidi la sua donna tornare dallo specchio senza belletto nel viso; e vidi i signori della famiglia dei Nerli e di quella Del Vecchio [nobili casati fiorentini] contentarsi di andar vestiti semplicemente e le loro donne contentarsi del fuso o della conocchia. O fortunate esse! ed ognuna era sicura della sua sepoltura e nessuna era ancora lasciata in abbandono dal marito che, per avidità di guadagno, andasse a mercanteggiare in Francia. – L’una vegliava a cura e governo della culla e per acquietare il bambino piangente usava quelle stesse voci infantili che tanto divertono i padri e le madri in bocca ai bimbi loro; l’altra, svolgendo la lana della rocca e filando, rammentava colla sua famiglia quei popolari racconti meravigliosi che allora correvano in proposito dei Troiani, di Fiesole e di Roma. A quei tempi avrebbero fatto meravigliare la gente costumata le male parole di una Cianghella [della nobile famiglia della Tosa, fu maritata ad uno degli Alidosi da Imola e, rimasta vedova, si diede a vita corrotta], un Lapo Saltarello [giureconsulto fiorentino,uomo litigioso], come in questi nostri tempi farebbero meravigliare le virtù di Cincinnato [dittatore e agricoltore romano] e di Cornelia [madre di Gracchi]. La Vergine Maria, invocata da mia madre ad alte grida nei dolori di parto, mi diede a così pacifico vivere dei cittadini di quel tempo, a così fida cittadinanza, a così dolce soggiorno; ed io fui insieme cristiano e Cacciaguida nell’antico fonte battesimale. Moronto ed Eliseo furono miei fratelli; la mia donna venne dalla Valle del Po [dal Ferrarese] e da essa derivò il tuo soprannome [Alighieri] Poi seguii l’imperatore Corrado [Corrado III della casa Hohenstauffen di Svevia], ed egli mi onorò del titolo di suo cavaliere, tanto gli fui caro pel mio virtuoso operare. Lo seguii nella spedizione contro la pessima legge di Maometto [accenna alla II crociata], il cui popolo, per colpa del pontefice romano, usurpa i luoghi di Terra Santa che per giustizia sono dei Cristiani. In quella crociata io, per opera di quella turpe gente maomettana, fui sciolto dal legame del mondo il cui amore imbratta e deforma molte anime; e venni a questo luogo di pace».
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